Quella di Jean Shin, artista coreana cresciuta in America, è un’arte di accumulo, di singole parti ripetute a formare un insieme. I protagonisti sono oggetti scartati, buttati, spezzati, che si trasformano in apparati scultorei ricchi e meticolosi.
I materiali utilizzati vanno da ombrelli rotti a scarpe consumate, calzini perduti, bottiglie di prescrizione, biglietti della lotteria gettati, ognuno ripetuto e accumulato in grande quantità. Ogni composizione conta infatti da centinaia a migliaia di pezzi. Pezzi apparentemente identici, ma che in realtà racchiudono una storia, un ricordo, un’identità ciascuno.
L’artista è infatti molto attenta al passato e al “vissuto” di ogni oggetto, che vorrebbe sapere e poter ricordare. Tutti i pezzi si caricano così di significati volti a definire insieme un valore collettivo. Le opere di Shin sono la sintesi di un dualismo che vede come parti contrapposte l’individuo e il gruppo, il singolo e l’unità, l’intimo e l’eccesso.
Anche i processi che portano a queste opere partono da un concetto di base duplice. Gli oggetti di produzione di massa e simbolo di consumismo sono infatti trasformati attraverso un intenso lavoro artigianale. Un lavoro artigianale meticoloso, completo di decostruzione, alterazione e restauro dei materiali.
Le opere di Jean Shin sono riflessi di vita, vita individuale nella collettività.
Credits: Artist’s Site, Artsy