Per chi vive a Milano, Kounellis è principalmente l’artista delle grandi rose bicolore al Museo del Novecento. Greco di nascita e romano d’adozione, questo grande artista ha però raccontato una cultura fatta di materiali grezzi pregni di significato antropologico.
Il 24 novembre 2019 si è conclusa la prima grande retrospettiva sulla sua arte dopo la sua scomparsa nel 2017. A cura di Germano Celant, nel palazzo Ca’ Corner della Fondazione Prada Venezia, “Jannis Kounellis” ha racchiuso i quasi 60 anni di lavoro del maestro.
Gli oggetti di uso comune, elevati ad opera d’arte, sono protagonisti di una messa a nudo della realtà e della ricerca di una coincidenza con essa. Buona parte dei lavori ruotano attorno a due concetti principali: natura e civiltà. Una natura a volte mascherata perché sotto forma di manufatto dell’uomo, a volte messa a nudo con performance e installazioni che coinvolgono piante e animali vivi. I materiali grezzi come il legno, il metallo, il carbone, la lana e il cotone sono fondamentali, facendo riferimento agli albori della civiltà fino al suo sviluppo.
Alle cose, ai manufatti e agli oggetti già lavorati sono destinati però anche altri significati. Soprattutto le installazioni, grandi e quasi opprimenti, vivono gli spazi e fagocitano lo spettatore tramutandolo in attore. Si nota qui il riferimento alle origini stesse dell’artista, che ha riproposto un teatro greco in cui tutti possono essere protagonisti.
Anche i simboli pittorici e le rose – alcune delle quali composte da tessuto attaccato sulla tela – hanno riferimenti che spaziano e si allontanano dal quadro per definire la società urbana. Lettere e numeri di insegne, come un’inebriante Las Vegas, avevano invaso la testa dell’artista approdato a Roma nel 1956.
Forte valenza simbolica e antropologica, ecco cosa ci ha lasciato l’artista Jannis Kounellis.