Relazioni tra spazio e corpo umano, esperienze ed emozioni. Lavora con queste premesse l’artista londinese Antony Gormley.
Stanco ‘dell’arte che parla solo di arte’, è voluto andare più in là, cercando nella propria anima cosa significasse davvero per lui. Le sue sculture sono quindi realizzate con la mente e con il cuore, condite da “riti” che lo avvicinano ancora di più al suo lavoro.
I materiali usati sono infatti toccati, sentiti dall’artista, per avere una concezione a tutto tondo dell’opera. Si sente responsabile di ogni loro dimensione, della visione quanto del tatto. Anche le intrinseche proprietà del materiale sono studiate per farle diventare parte attive del veicolo d’emozione, la scultura.
L’artista mette tanto di sé nelle opere, anche il proprio corpo, e trova proprio nella scultura il mezzo perfetto per parlare di emozioni e relazioni. Relazioni tra corpo e spazio soprattutto, spazio esterno ma anche interno.
Ciò che importa non sono le azioni ma i modi, gli stati interiori, il proprio io. Un io che ogni spettatore può proiettare in questi “golem” sofferenti, timidi, pensanti.
Gormley, infatti, non trasferisce nessuna caratteristica o particolare umano (occhi, bocca, espressioni del volto) per far sì che si catturi l’insieme dell’emozione, senza distrarsi, e che ci si possa immedesimare in ogni scultura.
Mi piace chiamare “golem” queste figure perché penso sia la parola che meglio descrive la loro dimensione. Una dimensione a metà, antropomorfa ma senza vita, complete comunque di emozioni da trasmettere.
Credits: Antony Gormley