I “golem” di Antony Gormley

Relazioni tra spazio e corpo umano, esperienze ed emozioni. Lavora con queste premesse l’artista londinese Antony Gormley.

Song, Antony Gorlem, 2008. (cuscinetti a sfera) Foto di Stephen White.
Song, Antony Gorlem, 2008. (cuscinetti a sfera)
Foto di Stephen White.

Stanco ‘dell’arte che parla solo di arte’, è voluto andare più in là, cercando nella propria anima cosa significasse davvero per lui. Le sue sculture sono quindi realizzate con la mente e con il cuore, condite da “riti” che lo avvicinano ancora di più al suo lavoro.

Feeling Material XXVI, Antony Gormley, 2005. Foto di Stephen White.
Feeling Material XXVI, Antony Gormley, 2005.
Foto di Stephen White.

I materiali usati sono infatti toccati, sentiti dall’artista, per avere una concezione a tutto tondo dell’opera.  Si sente responsabile di ogni loro dimensione, della visione quanto del tatto. Anche le intrinseche proprietà del materiale sono studiate per farle diventare parte attive del veicolo d’emozione, la scultura.

Catch, Antony Gormley, 2010. Foto di Stephen White.
Catch, Antony Gormley, 2010. (ghisa)
Foto di Stephen White.

L’artista mette tanto di sé nelle opere, anche il proprio corpo, e trova proprio nella scultura il mezzo perfetto per parlare di emozioni e relazioni. Relazioni tra corpo e spazio soprattutto, spazio esterno ma anche interno.

Construct, Sean Kelly Gallery, New York, USA. Antony Gormley, 2016.
Construct, Sean Kelly Gallery, New York, USA. Antony Gormley, 2016.

Ciò che importa non sono le azioni ma i modi, gli stati interiori, il proprio io. Un io che ogni spettatore può proiettare in questi “golem” sofferenti, timidi, pensanti.

Big Yield, Antony Gormley, 2015. (barre di acciaio) Foto di Stephen White.
Big Yield, Antony Gormley, 2015. (barre di acciaio)
Foto di Stephen White.

Gormley, infatti, non trasferisce nessuna caratteristica o particolare umano (occhi, bocca, espressioni del volto) per far sì che si catturi l’insieme dell’emozione, senza distrarsi, e che ci si possa immedesimare in ogni scultura.

Mi piace chiamare “golem” queste figure perché penso sia la parola che meglio descrive la loro dimensione. Una dimensione a metà, antropomorfa ma senza vita, complete comunque di emozioni da trasmettere.

Stay, Antony Gormley, 2014. (ghisa) Foto di John Miller.
Stay, Antony Gormley, 2014. (ghisa)
Foto di John Miller.

 

Credits: Antony Gormley

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